Sono una spugna quando accumulo tutto, quando le parole diventano acqua e si insidiano dentro di me.
Sono una spugna quando mi gonfio di delusioni, frasi mai pronunciate, sguardi evitati, rimproveri non detti.
Sono una spugna quando le disapprovazioni vanno verso di me e non verso qualcun altro. Lo sono anche quando, per il senso di colpa, vorrei che ad altri andassero delle belle parole, che penso di non meritare di mai.
Sono una spugna tutte le volte che mi mordo la lingua, per paura di ferire. Quando ascolto una canzone che mi rattrista, ma fingo che non mi tocchi minimamente.
Sono una spugna quando, in una giornata no, metto da parte il mio umore per parlare di ciò che fa stare male chi mi sta intorno.
Lo sono quando cammino per strada e mi guardo intorno, accorgendomi di sentirmi assente, un’ombra leggera in mezzo a pesanti massi. Una leggerezza relativa, che si blocca sullo stomaco, iniziando a portare una sensazione di vuoto misto a pieno, che spinge sempre più in giù, mostrando il resto enorme rispetto a ciò che sono io.
Sono una spugna perché ritorno sempre al mio stato originario, quello che piace agli altri, quello che è più giusto, nonostante tutti i movimenti e gli strattonamenti che io possa subire.
Sono una spugna perché ho constantemente paura di sbagliare e, nonostante faccia di tutto per far andare tutto come deve, mi sento sempre inadatta, fuori luogo.
Sono una spugna perché mangio i colpi che mi danno, e nascondo i lividi che si formano.
Sono una spugna perché mi stendo sul letto e guardo il soffitto, pensando che magari, un giorno, smetterò di essere una spugna.
Sono una spugna perché servo sempre un po’ a tutti, fino a quando non si trova qualcosa di meglio, qualcosa di più bello e più utile. Lo sono nell’attimo in un cui faccio mio tutto ciò che mio, in realtà, non è. Quando abbraccio chi sta male, prendendo per me il suo dolore; quando ascolto chi ha qualcosa da dire, assimilando le le loro parole, comprendendole e applicandole; quando sorrido ad un broncio; quando mi guardo allo specchio e lascio scivolare i miei pensieri.
Sono una spugna, una di quelle gialle e con una forma non ben definita, che quando vengono utilizzate troppo iniziano a rompersi e a far uscire acqua da tutte le parti. Lo sono perché assorbo fino a scoppiare, fino a straripare. Sono così perché, alla fine, quando sono troppo piena, rilascio tutto ciò che c’è dentro me, liberandomi. E, nel momento in cui ciò succede, mi rimpicciolisco secondo dopo secondo, svuotandomi e alleggerendomi, fino ad iniziare nuovamente il processo, ancora e ancora.
All’infinito.
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