Mi chiedo da quando io abbia incominciato a recitare con me stessa e quindi con gli altri. Ho imparato precocemente che per farmi accettare dovevo essere equilibrata e conciliante. Essere sorridente rende gradevole chiunque. Mi sono sempre messa nelle posizioni più scomode per non dare fastidio, ho recitato la parte della bambina senza pretese avendone invece forse più degli altri. Di me si diceva che ero matura, più matura della mia età e ragionevole. Invece di farmi avanti e chiedere qualcosa per me, accettavo tutto aderendo immediatamente all'immagine che avevo costruito per gli altri.
Ho perso nel tempo anche le percezioni più elementari delle mie necessità, tanto sono stata abile a occultarle a me stessa.
Senza esserne consapevole, cerco automaticamente di mettermi a disposizione delle persone che hanno bisogno di me. Mi sento in colpa di tutto. In un certo senso non ho ancora ottenuto quella che potrebbe chiamarsi una licenza di vivere. E mi ripeto spesso che ho il diritto di avere qualsiasi cosa abbiano gli altri, ma è solo una teoria che non posso ancora applicare a me stessa.
Penso che questa citazione, presa dal libro stesso, nasconde tutto il
significato di quest'ultimo.
Ad essere sinceri, non si capisce del tutto ciò che spinge l'autrice a
maltrattare se stessa, ad autodistruggersi. I motivi possono essere molteplici,
come il bisogno d'affetto. Infatti, Fabiola, fin da piccola, si sentirà
obbligata a mettere gli altri prima di sé, ad essere matura, proprio come dice nella citazione scritta sopra. Sua mamma
sarà completamente assente nella sua vita, mandandola in un collegio per farle
avere un'educazione rigida, ma che la rovinerà solamente. Verrà sottoposta,
infatti, ad una dieta rigidissima, a base solo di infinite compresse da
inghiottire giorno dopo giorno. Sentendosi sotto pressione, continuamente in
ansia, Fabiola cercherà conforto nel cibo, ingannando le suore del collegio ed
anche se stessa, vomitando tutto il cibo che faceva entrare nel suo corpo.
Uscita dal collegio, non rinuncerà a questo ''stile di vita''. Avrà
continuamente paura di ingrassare, di diventare la bambina con qualche kilo in
più di un tempo. Come ripeterà in molti capitoli, troverà conforto e sfogo nel
vomito. Con quest'ultimo, infatti, ella penserà non solo di espellere il grasso (Mi illudo di vomitare non del cibo quanto del grasso!), ma di far
uscire dal suo corpo tutte le preoccupazioni che la perseguitano.
Ciò che più la distrugge non è la sua eccessiva magrezza che, anzi, la
rassicura, bensì la consapevolezza di essere caduta nella sua stessa trappola.
La consapevolezza di aver bisogno di aiuto.
Fabiola, anche se non lo ammette, ha paura. Paura della depressione,
degli sguardi della gente che si voltano ad osservarla quando passa per strada.
Si auto-convince di avere una vita normale, fa di tutto per farla
sembrare tale agli occhi altrui. Mangia addirittura a casa dei suoi amici,
trovando sempre una scusa perfetta per rintanarsi nel bagno ed espellere tutti
i suoi sensi di colpa.
Durante i brevi 'capitoli' (non è propriamente adatto chiamarli in
questo modo), composti da due, massimo tre pagine, o anche di una sola pagina, ci
verranno anche poste delle domande. Più che a noi, l'autrice le rivolgerà a sé,
per cercare di darsi delle risposte che riferirà anche a noi avanti nella
storia.
Alla fine cederà, dandosi alle cure di un terapeuta. Non poche volte,
ella ci ripeterà quanto la figura del terapeuta le sia stato d'aiuto per
riuscire a trovare una vita oltre a quella che lei pensava fosse vita. Infatti,
dopo quasi sei anni di terapia, si sentirà protetta da questa figura,
paragonandola ad una madre che vede gradualmente crescere sua figlia, iniziando
a vedere il mondo e iniziando, finalmente, a vivere.
Devo tornare a casa, non posso che aspettare il giorno dopo perché un altro pezzo della diga che ho così faticosamente costruito tremi e crolli ancora un po' con la supervisione di questa donna, di cui non saprò mai niente, se non che ha questo potere e alla quale sono così grata malgrado il dolore che mi reca.
E' una madre al capezzale della propria figlia nel giorno della sua nascita. Una figliola che non è voluta nascere prima, ma trent'anni dopo. E' così, seduta accanto a me, che vivo la sua presenza. Un parto doloroso per tutte e due, dove una parte di me viene alla luce.
L'analisi può essere terribilmente umiliante. La dipendenza che crea mette il paziente nella stessa condizione del bambino piccolo nei confronti della propria madre. Ma è una madre questa che offre solo quattro o cinque ore del suo tempo a settimana, una madre che non si può né toccare né guardare, se non un attimo, nel momento in cui si entra e si esce, e di solito si è così turbati da quegli incontri che non si riesce quasi mai a trattenere i tratti del suo viso. [...]
Ma l'analista, padre e madre, diventa anche il bersaglio della propria rabbia. [...]
Ti detesto perché sei più forte, più forte di tutti, grazie al tuo silenzio che certo a te non costa niente! Oppure usi le tue associazioni da manuale! Ti odio perché ho bisogno di te! [...]
Un libro toccante e profondo, sulla quale tuttavia ho trovato delle
parti un po' gne.
Nella metà del libro, infatti, ho notato fin troppe ripetizioni,
facendomi quasi annoiare (prendete questo termine molto con le pinze, non
essendo infatti il più adatto). La struttura è ben composta, e i capitoli
finali, dove si ha la sua ''rinascita'' in un certo senso, mi hanno colpita
molto. Ma sono del parere che togliendo una trentina di pagine, sarebbe stato
una storia ancora più intensa e toccante.
E', inoltre, un libro abbastanza breve, di 146 pagine con un font molto
ampio, che permette di essere concluso in due orette circa.
Perché, in fondo, cercare di sembrare perfetti allo sguardo degli
altri, non porta altro che ad una lenta e devastante autodistruzione.
Inoltre, vi consiglio caldamente di acquistare l'edizione che posseggo
io, immagino l'ultima, che ha un prezzo di EUR 10.50, e possiede un postscritto
di Marzia De Clercq. In esso si riesce a capire, secondo me, il vero strazio di
quei vent'anni di bulimia e anoressia, e il grande sollievo di essere riuscita
ad uscire, ad averne parlato quando tutti stavano in silenzio. E spiega in che
modo ella sia riuscita a farsi coraggio e pubblicare questo libro. Oltre ciò,
parla di ABA, un'associazione nata grazie a questa autrice, e a questo suo
libro nello specifico, che si focalizza per l'appunto sullo studio e la ricerca
sull'anoressia, la bulimia e i disordini alimentari. Se volete saperne di più,
vi consiglio vivamente di passare sul loro sito: www.bulimianoressia.it
Perché, in fondo, si può sempre fare qualcosa.
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